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Farsi piccoli

Farsi piccoli
9 Aprile 2020 Harihar

“Farsi piccoli”, è un’affermazione che sentiamo ripetere spesso. L’ego non la gradisce assolutamente. Eppure, farsi piccoli ha un significato profondo, un potere di guarigione straordinario. Non ha nulla a che vedere con l’essere inferiori, cosa che porterebbe ad un conflitto nell’ipotesi di qualcuno migliore o peggiore. Farsi piccoli è un movimento, ma anche una posizione che richiede profonda umiltà. Nel genere umano o comunque sul piano terrestre, l’unico che ho potuto osservare e di cui ho coscienza ora, è presente una ferita comune: la perdita. Significa aver perso l’appartenenza. Appartenenza al genere umano. Questo accade già in tenera età, quando viviamo la perdita di contatto, affetto, amore, comunione, con la mamma. Il dolore è sordo, ma profondo, a tal punto da innescare un effetto a catena che prevede tentativi e tentativi continui di compensazione: fare qualcosa per riempire quel vuoto che è rimasto; quella distanza fra noi e gli altri. Come lo facciamo? Assumendo punti di vista in accordo o disaccordo con altri; una sorta di gioco di specchi che cerca il riflesso che corrisponde al personaggio che abbiamo assunto. Per esempio se sei contro la società, cerchi persone che la pensano come te. Se sei triste, cerchi e vedi la tristezza ovunque. Se ti senti privo di amore, cerchi qualcuno che te lo dia.Naturalmente ogni personalità assunta, ha il suo opposto: una persona contro la società vedrà costantemente quanti sono contro di lui. Una persona triste vedrà quanti sono felici. Una persona priva di amore si chiederà come mai tutti gli altri ne hanno. La conseguenza di questa polarità è il perpetuarsi della solitudine, di quella ferita di fondo in cui si percepisce ancora e ancora la perdita, la distanza, il baratro. La solitudine dipende dalla dualità creata dal falso io assunto. Come risolvere questo? Una persona spirituale direbbe, realizzando il Sè in cui tutto è uno, ma il problema di questo tipo di spiritualità è proprio il conflitto che la anima. Cercare il Sè per essere uno significa fare un salto sopra al viaggio umano per ritrovare, dall’altra parte qualcosa che unisce. E’ proprio in questo, “dall’altra parte”, il problema che rivela l’illusorietà di una salvezza nel Sè. Le ricadute saranno inevitabili e sempre più forti, proprio perché la natura divina, universale, umana, o come la si voglia chiamare, non è controllabile, agisce piuttosto autonomamente. Cosa fa? Spinge ogni particella separata, verso ciò che in realtà non è separato, anche quando appare così. Ad esempio i problemi ritornano e si ripresentano. Le dinamiche riaffiorano e si manifestano più forti, anche più chiare di prima. Il punto è questo: non si scappa. Farsi piccoli richiede umiltà, questo è qualcosa di spiritualmente umano e indispensabile. Cosa significa? guardiamolo insieme. Se il senso di separazione e solitudine c’è, come anche la rabbia, l’orgoglio, la colpa, questo non significa che sia necessario muoversi verso un Dio che ci perdoni o verso angeli che ci abbraccino per darci quello che non troviamo qui,  il contrario: significa che qui c’è qualcosa da riconciliare, qualcosa che appare sconnesso nella nostra coscienza personale, ma al di là di questa percezione, o meglio alla sorgente, non è così. E’ molto diverso cercare il Sè per sopravvivere, dal cercare il Sè attraverso le percezioni. Attraverso il viaggio di riconciliazione con il conflitto che portiamo dentro. Le persone che bandiscono e si separano dal conflitto, sono costrette ad alimentare in modi estremi il personaggio nel quale si sono identificati o l’oggetto della loro ammirazione o contemplazione. Nel mondo spirituale questo è molto evidente: maestri, guide, guru che vogliono essere tali per non sentirsi soli, per non cadere nell’oblio. Allievi, devoti, ammiratori che vedono nel proprio maestro una salvezza, in Dio una terra promessa, si chiudono in un’ ideologia e un sistema di credenze su tutti i piani, fisico, emozionale, mentale e sottile, per sopravvivere e dare una speranza alla loro vita e a quel dolore di fondo. Queste persone davanti ad una catastrofe diranno: è tutto in mano a Dio. Davanti ad una violenza affermeranno: ognuno ha il proprio karma. Davanti ad una relazione difficile penseranno che Dio provvederà. C’è un fondo fatalistico grave, che crea un abisso ancora più grande fra loro e la vita, fra loro e gli altri, fra loro e Dio. Molto diverso da chi vive pienamente la propria natura umana e cerca Dio, non per compensare, ma per completare il viaggio. Per completare l’unione, già avvenuta con gli umani, che prosegue con l’universo e poi Dio. Farsi piccoli significa entrare nel cerchio di appartenenza all’umanità, lasciando cadere i ruoli assunti per reazione al dolore, i personaggi sottilmente e segretamente costruiti per compensare il vuoto. Si tratta di un passaggio difficile, doloroso per l’ego che non vuole perdere le proprie sicurezze, anche quando sono illusorie. Ma la vita farà tornare il nodo al pettine, finché non verrà accettata la verità. La verità che siamo uguali. Siamo in un cerchio, siamo insieme, siamo uno anche qui e non solo da un’altra parte. Questi schemi, ve lo assicuro, sono sottili come la luce. Non li vediamo, ci siamo dentro anche mentre affermiamo di aver capito. Farsi piccoli significa essere umili e accettare di non essere quello che si vorrebbe essere. Accettare di non essere migliori e nemmeno peggiori. Accettare di non essere persone di successo, ma persone. Accettare di non essere persone fallite, ma persone, esseri umani, parte di una natura calda e amorevole. Non siamo duali, siamo trini. Siamo tutto. Siamo uno, l’altro e chi lo vede. Noi siamo tre parti insperate. Siamo il figlio, il padre e lo spirito santo. Gli spiritualisti che negano l’energia affermando che tutto è il Sè, stanno facendo vedere una cosa evidente: negazione della vita. Gli spiritualisti che negano il Sè perché lo ritengono irraggiungibile, stanno portando alla luce una cosa chiara: la negazione di loro stessi. Le persone che negano sia il Sè che l’energia, stanno dicendo che tutto questo è falso e rendono visibile la loro povertà. Noi siamo trini, siamo il Sè, l’energia che tutto anima, e il corpo che vive tutto ciò. Chi è convinto del Sè affermerà: quale corpo, quale energia? Gli yogi affermeranno: quale Sè, tutto è prana. Il politico dirà: di cosa state parlando? Farsi piccoli, basta dirlo per capire quale potere possa avere. Nell’essere umani, c’è tutto questo, c’è la nostra trinità. In questo essere umani ognuno manifesterà la sua natura, così com’è, come deciso dall’universo. Non puoi essere diverso da ciò che sei, ma non sei solo il Sè o solo il prana o solo una persona. Sei tutto e tutto porta con se tutte le manifestazioni, al di là di ogni giudizio possibile. Poi, giudizio di chi? Solo nella spaccatura si crea il giudizio. Nella propria trinità c’è quello che è, tutto qui, senza valutazione o giudizio persecutorio.

Farsi piccoli ci porta infine ai genitori, dove questo divario umano e l’inizio di questa “scuola”, ha avuto il suo “via”, vita dopo vita. Davanti a loro come siamo, grandi, forti, pieni di ego o piccoli, umili, ma accolti, amati da loro e attraverso di loro da qualcosa di più grande? Trina è anche questa formazione: figlio/a, madre e padre. Abbiamo preso entrambe, ci sentiamo trini o divisi? Farsi piccoli prevede questo, essere insieme, al di là del giudizio, avendolo riassorbito nel cuore del cuore. Essere piccolo significa infine, essere degni di ricevere, tutto ciò che è giunto per noi, così come siamo.

Farsi piccoli, non è poi quello che indicano i testi sacri quando dicono che siamo tutti figli di Dio? Non è Dio tutto?

Harihar

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